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venerdì 20 gennaio 2012

SGARBI CONDANNATO A PAGARE


ROMA - Massimo D'Alema sarà risarcito con 50 mila euro da Vittorio Sgarbi, in solido con Reti Televisive Italiane, per essere stato diffamato nel corso della trasmissione televisiva 'Sgarbi quotidiani' del 4 maggio 1993. Lo ha stabilito la Terza sezione civile della Cassazione che ha respinto i ricorsi del critico d'arte e di R.T.I.. In particolare, come ricostruisce la sentenza 534, Sgarbi aveva affermato: «un altro pentito, comunque persona indagata ha detto di aver versato tangenti al secondo del partito comunista, del Ds Massimo D'Alema. Allora cominciamo a stare attenti che questi che urlano hanno fatto esattamente lo stesso di quelli conro cui stanno urlando». Querelato, Sgarbi era stato condannato in solido con Rti a pagare all'esponente del Pd 50 mila euro. Contro la condanna Sgarbi ha fatto ricorso in Cassazione, sostenendo che le dichiarazioni all'origine della controversia rientravano «nell'ambito di un articolato discorso politico finalizzato ad evidenziare il sistema illecito di cui aveva beneficiato il partito al quale apparteneva D'Alema». A sua volta Rti sosteneva che il contenuto della trasmissione non era «oggetto di preventiva concertazione». Piazza Cavour ha respinto entrambi i ricorsi. E, per quel che riguarda la posizione di Sgarbi, la Suprema Corte ha sottolineato che «la Corte di merito ha ampiamente spiegato la non riconducibilità delle espressioni dello Sgarbi al diritto di critica politica ampiamente e logicamente motivato, tra l'altro affermando che nelle dichiarazioni è dato ravvisare un elemento di palese discontinuità con l'attività parlamentare svolta dallo stesso, in quanto Sgarbi non si è limitato a criticare il sistema di finanziamento del partito cui apparteneva D'Alema, ma ha attribuito allo stesso una responsabilità penale personale, puntuale, colorando tale attribuzione di responsabilità con il riferimento a termini quali tangenti, pentito...che evocano chiaramente nello spettatore l'idea del coinvolgimento diretto del convenuto» mentre «la notizia deve considerarsi del tutto falsa e lesiva dell'immagine e della reputazione» di D'Alema. Quanto ad R.T.I., la Cassazione spiega che era «certamente consapevole dei contenuti generali e delle connotazioni tipiche della trasmissione, andata in onda per anni, in fasce orarie di rilevante ascolto, e significativamente intitolata 'Sgarbi quotidianì, proprio perchè basata sulla nota 'vis' polemica del conduttore». Da qui la responsabilità nella diffamazione.
FONTE: IL GIORNALE GRATUITO LEGGO

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