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domenica 28 ottobre 2012

FILM

In cerca di un’Italia migliore, i giornalisti Gustav Hofer e Luca Ragazzi si mettono in viaggio attraverso il proprio paese

Italia: non se ne può più


Die Zeit
In cerca di un’Italia migliore, i giornalisti Gustav Hofer e Luca Ragazzi si mettono in viaggio attraverso il proprio paese: il loro film “Italy – Love it or Leave it“ è da non perdere.
In Sicilia sono tangibili le rovine della modernità. Strutture in cemento armato progettate come centri sportivi o culturali che si ergono nel vuoto, poiché Giarre è diventata l‘“Eldorado della speculazione edilizia“. Dei dodici ecomostri fanno parte centri polifunzionali, un campo di polo per 22.000 spettatori (e qui nessuno gioca a polo), un teatro, un centro per l’infanzia, circuiti per modellismo automobilistico, piscine ed altre costruzioni ancora al grezzo finanziate con denaro pubblico europeo, mai ultimate e mai utilizzate.
I registi Gustav Hofer e Luca Ragazzi, durante il loro viaggio per l’Italia, fanno sosta a Giarre. Dopo essere stati sfrattati dal loro appartamento di Roma, riflettono sull’eventualità di lasciare il paese seguendo l’esempio di amici che sono emigrati a Berlino, in Nuova Zelanda o in Svizzera: ne hanno abbastanza del nepotismo e vorrebbero vivere in un paese che accetti le coppie omosessuali.
Andare o restare? Hofer e Ragazzi non sanno darsi una risposta, così si mettono in viaggio su di una Fiat 500 lungo l’Italia, dalla Puglia alla Lombardia, per porre alla gente la stessa domanda. Il loro film Italy – Love it or leave it è già andato in onda nell’inverno del 2011 come sceneggiato televisivo, ma adesso arriva sul grande schermo, dopo essere stato proiettato in occasione di diversi festival, tra cui quelli di Göteborg, Helsinki e Milano.
Nel loro film, Hofer e Ragazzi diventano turisti nel proprio paese. Mettono in discussione i cliché diffusi dai cataloghi di viaggio sulla buona tavola, sulla spiaggia di Rimini, i bei laghi e la frutta fresca. Troviamo invece luoghi in cui animali da allevamento, destinati a diventare prodotti alimentari, pascolano sopra un ammasso di rifiuti tossici. Stazioni balneari mete preferite dei tedeschi, e poi dei russi, per arrostirsi sotto il sole; laghi apparentemente idilliaci come il Lago di Como e il Lago d’Iseo che però, a causa dell’elevata concentrazione di batteri fecali, sono a divieto di balneazione; immigrati assunti in nero costretti a vivere in abitazioni fatiscenti senz’acqua corrente, perché con la raccolta delle arance guadagnano al massimo 25 euro al giorno. A Predappio, luogo di nascita di Mussolini, troviamo un negozio di souvenirs fascisti. Il proprietario dice che, poiché ha un’autorizzazione che lo considera memoria storica, il suo negozio non chiuderà.
Dall’altra parte, troviamo la decadenza dei potenti, primo tra tutti Silvio Berlusconi: Hofer e Ragazzi si recano a Milano agli inizi del processo-Ruby. Assistono ad una manifestazione, tenutasi in teatro, con lo slogan “In mutande, ma vivi“, che fa propaganda a Berlusconi. “Vecchi che urlano! Inquientante!“, dice Luca Ragazzi. Uno difende i festini sexy di Berlusconi suscitando grandi applausi: “Cosa posso saperne io con quali intenzioni si presta a fare un piacere a queste ragazze invitandole a mangiare con lui e facendo loro dei regali! Chi sono io per poterlo giudicare moralmente?“
Sono soprattutto gli adulti e gli anziani che quel giorno scatenano un’incredibile aggressività quando si tratta di sostenere Berlusconi: uomini e donne lo difendono con veemenza, lo celebrano con inni – e rimproverano Hofer e Regazzi di essere loro i veri vecchi, vecchi mentalmente.
Come stacco visivo tra le singole fermate tematiche del viaggio per l’Italia, i registi si servono di alcuni film d’animazione che ricordano un po’ [la commedia televisiva britannica ndt] Monty Python’s Flying Circus, dove le donne raffigurate nei cartelloni pubblicitari sessisti finiscono direttamente nel tritacarne, pronte per essere mangiate in bocconi. “Che razza di paese è questo?“, chiede Luca Ragazzi fuori campo.
Il documentario di Hofer e Ragazzi è come un catalogo di viaggio onesto, che da un lato promette il paradiso e dall’altro mostra lo squallore di una società, i suoi abissi morali, e gli smidollati che anziché combattere le avversità, preferiscono vivere in una calma apparente. Durante il tragitto in macchina, Hofer e Ragazzi riflettono su ciò che stanno vivendo. Purtroppo queste scene appaiono un po’ forzate, perché i loro ruoli sono qui chiaramente divisi. Ragazzi è quello che cerca di trovare il lato positivo in tutto. Hofer non vuole restare in Italia e preferisce emigrare a Berlino.
Il lato positivo lo trovano soprattutto laddove inizia a muoversi qualcosa. Carla Girasole per esempio, il sindaco di Capo Rizzuto applica la legge. La sua città in Calabria è considerata il cuore della ‘Ndrangheta. Girasole dice che avrebbe voluto “semplicemente creare una buona amministrazione“; a chi vuole interpretare ciò in termini di lotta contro la mafia dice che “non ci riconosciamo affatto in questo proposito”. I concorsi pubblici a Capo Rizzuto si svolgono adesso alla luce del sole, “prima era sempre la stessa storia“. La sua auto è stata bruciata, riceve pallottole e lettere anonime, ma non si lascia intimidire.
Incontrano Nichi Vendola, il presidente della regione Puglia, “cattolico, comunista e gay dichiarato“. Lotta per liberare la società dalla paura, dalla povertà, dall’ignoranza e dalla superstizione – ed è consapevole del fatto che “oggi in politica ci si preoccupa solo di fare la battuta del giorno“. Parlano con Lorella Zenardo, regista del film Il corpo delle donne, che lotta contro l’atteggiamento che considera e tratta le giovani donne come carne da macello. Lei e altre migliaia di donne hanno protestato, tramite campagne internet, contro la pubblicità sessista di certe grandi industrie – e finora qualche battaglia, l’hanno vinta.
Tuttavia, neanche i più speranzosi sanno rispondere ai due registi su come si siano manifestate le condizioni che loro criticano: le rovine di Giarre sono “come un buco nero”, nessuno ne vuole parlare, nessuno sa come si sia arrivati fino a questo punto”, dice Claudia D’Aita del festival Unfinished Sicily. La sua frase descrive quello che Luca Ragazzi e Gustav Hofer hanno potuto constatare un po’ ovunque: nessuno si sente responsabile di questa miseria.

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