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mercoledì 31 ottobre 2012

TRAVAGLIO - DI PIETRO - MARTINELLI...

Caro Travaglio, l’Idv non si salva solo con le sentenze


Marco Travaglio, nel suo editoriale di oggi sul Fatto, ci racconta che le pulci fatte all’Italia dei valori nelle ultime settimane da varie testate e redazioni giornalistiche (comprese quelle di Report), siano in realtà minestra riscaldata di vicende già giudicate dalla magistratura. Il servizio di Report, che ho visto anch’io, effettivamente non ne ha fatti di scoop. Ha semplicemente ripercorso la storia economica dell’Italia dei valori e di Antonio Di Pietro, avvalendosi di insinuazioni di personaggi come l’avvocato Di Domenico ed Elio Veltri, le cui cause intentate nei confronti dell’ex pm e del suo partito sono tutte finite in nulla. Travaglio, pur ammettendo gravi leggerezze da parte di Di Pietro nell’imbarcare personaggi discutibili stile Razzi-Scilipoti, propone all’ex pm di nominare un comitato di garanti formati da De Magistris, Li Gotti, Palomba e pochi altri, per valutare singole candidature di facce nuove in vista delle prossime elezioni politiche. Dunque, Travaglio propone in prima pagina una exit strategy all’Idv e alla crisi di Di Pietro, caduto dal piedistallo dell’anticasta dopo quello che è emerso nella vicenda Maruccio in Lazio, dell’ex consigliere Nanni in Emilia (entrambi per la gestione dei fondi destinati al gruppo), e dell’ex assessore ligure Marilyn Fusco (indagata di abuso d’ufficio che secondo me finirà in nulla come per Vendola stamane).
Quello che però, a mio parere, Travaglio non coglie nella crisi irreversibile dell’Idv, è l’aspetto etico e di condotta dei militanti del partito. Soprattutto di certi colonnelli del cerchio magico di Antonio Di Pietro. L’Idv si dissolve nel Movimento 5 stelle perché la differenza più importante che li contraddistingue, sono la rinuncia ai rimborsi elettorali e il drastico abbassamento degli stipendi attuato fin dall’inizio dagli eletti nel movimento del comico. L’Idv si è distinta nei referendum e nel proporre leggi anticasta. Ha persino reso, per mano di Di Pietro al ministro Fornero, l’ultima quota di oltre 4 milioni di euro di rimborsi elettorali. Un gesto apprezzabile, certo, ma purtroppo anche beffardo, perché viene da chiedersi dove siano finiti tutti i milioni incassati in precedenza.
Quello che a mio parere Travaglio non coglie nella crisi irreversibile dell’Idv, è che nessun consigliere e nessun deputato dipietrista, ad oggi, si è diminuito lo stipendio a 2.500 euro al mese come già fanno quelli del M5S. Nessun consigliere provinciale Idv si è dimesso dalla carica di un ente inutile e sprecone. Anzi, al contrario, il consigliere provinciale Franco Spada ha immediatamente lasciato il seggio di Bergamo per catapultarsi in regione Lombardia a sostituire l’ex consigliere Gabriele Sola, che si era dimesso dal pirellone pur di rinunciare al vitalizio. Per sole 6 ore di “lavoro“, al neoconsigliere Spada spetteranno 50 mila euro ai quali ha rinunciato Sola. Sapete come ha reagito l’onorevole dipietrista Sergio Piffari alle dimissioni di Sola? Ha dichiarato che per coerenza, Sola dovrà rinunciare a ricandidarsi per puntare tutto su Spada: amico e convalligiano di Piffari che alle ultime regionali del 2010 era sicuro di dirottare al pirellone grazie al benservito di 1500 preferenze tutte provenienti dalla Valle Seriana, ma rivelatisi insufficienti difronte alla sopresa Sola, che nel collegio dell’intera provincia di Bergamo ne ottenne oltre 2.700.
Col suo gesto apprezzabile, Sola sarebbe stato valorizzato se il suo partito, l’idv, fosse stato anticasta. Peccato che, al contrario, la reazione di un colonnello del cerchio magico dipietrista come Piffari, abbia fatto trasparire quella logica democristiana da prima Repubblica condita di malafede e furbizia. Ecco, è dentro queste pieghe etiche operate dalla casta dipietrista che l’Idv viene inghiottito. E’ nei visceri della non riconoscenza del merito e nel familismo di cognati-deputati e figli-consiglieri che l’anticasta dipietrista si dissolve come neve al sole di Grillo. E’ soprattutto nel predicare senza razzolare, che l’Italia dei valori rimarrà il partito dell’ex pm di Mani Pulite che affondò la Prima Repubblica a suon di arresti. L’Italia di Grillo, al contrario, è già ampiamente nella terza di Repubblica in un movimento che si è tolto ogni privilegio senza aspettare sentenze.
Quello che a mio parere Travaglio non coglie nella crisi irreversibile dell’Idv, è che nessun comitato di garanti modello partito vecchia maniera, potrà trovare giovani disposti a bruciarsi la faccia in un’Idv che rimane un partito di casta. De Magistris sarà una brava persona, ma non si può dimenticare che ha mollato a metà strada lo scranno di presidente della Commissione Bilancio a Bruxelles per diventare sindaco a Napoli e, ora che non è nemmeno a metà mandato di primo cittadino di una metropoli di un milione di abitanti, sogna una lista arancione di sindaci da proporre alle politiche.
Quello che a mio parere Travaglio non coglie nella crisi irreversibile dell’Idv, è che la politica non si fa solo con le sentenze favorevoli dei tribunali. La fiducia degli elettori la si conquista soprattutto con l’etica e la coerenza dei princìpi. Con buona pace per il buon Antonio Di Pietro e l’Idv, che dopo l’acme toccato alle europee del 2009, ha perso la sua ultima occasione di sopravvivenza nel 2010, appoggiando De Luca alle regionali in Campania senza tener conto del parere degli elettori della Rete. Da cui l’Idv ha attinto il massimo della sua gloria. Di Pietro ha preferito rincorrere Bersani e non i consigli di Gianroberto Casaleggio. Ditelo a Travaglio.
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da il Fatto Quotidiano di oggi 31.10.2012

Come ciclicamente gli accade, da quando è un personaggio pubblico, cioè esattamente da vent’anni, Antonio Di Pietro viene dato per morto. Politicamente, s’intende. Gli capitò nel ’94, quando dovette dimettersi da pm per i ricatti della banda B. Poi nel ‘95, quando subì sei processi a Brescia per una trentina di capi d’imputazione (sempre prosciolto).

Poi nel ‘96 quando si dimise da ministro per le calunnie sull’affaire Pacini Battaglia-D’Adamo. Poi nel 2001, quando la neonata Idv fu estromessa dal centrosinistra e per qualche decimale restò fuori dal Parlamento.

Poi ancora quando il figlio Cristiano finì nei guai nell’inchiesta Romeo a Napoli; quando i suoi De Gregorio, Scilipoti e Razzi passarono a miglior partito; quando alcuni ex dipietristi rancorosi lo denunciarono per presunti abusi sui rimborsi elettorali e sull’acquisto di immobili;

quando una campagna di stampa insinuò chissà quale retroscena su un invito a cena con alti ufficiali dell’Arma alla presenza di Contrada; quando le presunte rivelazioni dell’ex ambasciatore americano, ovviamente morto, misero in dubbio la correttezza di Mani Pulite.

Ogni volta che finiva nella polvere, Di Pietro trovava il modo di rialzarsi. Ora siamo all’ennesimo replay, con le indagini sui suoi uomini di punta nelle regioni Lazio, Emilia, Liguria, mentre il centrosinistra lo taglia fuori un’altra volta, Grillo fa man bassa nel suo elettorato più movimentista e Report ricicla le accuse degli “ex” sui rimborsi e sulle case.

Si rimetterà in piedi anche stavolta, o il vento anti-partiti che soffia impetuoso nel Paese spazzerà via anche il suo? Cominciamo da Report, programma benemerito da tutti apprezzato: domenica sera Di Pietro è apparso in difficoltà, davanti ai microfoni dell’inviata di Milena Gabanelli.

Ma in difficoltà perché? Per scarsa abilità dialettica o perché avesse qualcosa da nascondere, magari di inedito e inconfessabile? A leggere (per noi, rileggere) le carte che l’altroieri ha messo a disposizione sul suo sito, si direbbe di no: decine di sentenze, penali e civili, hanno accertato che non un euro di finanziamento pubblico è mai entrato nelle tasche di Di Pietro o della sua famiglia.

E nemmeno nelle case, che non sono le 56 che qualche testimone farlocco o vendicativo, già smentito dai giudici, ha voluto accreditare: oggi sono 7 o 8 fra la famiglia Di Pietro, la famiglia della moglie e i due figli.

Quanto alla donazione Borletti, risale al 1995, quando Di Pietro era ancora magistrato in aspettativa e imputato a Brescia: fu un lascito personale a un personaggio che la nobildonna voleva sostenere nella speranza di un suo impegno in politica, non certo un finanziamento a un partito che ancora non esisteva (sarebbe nato tre anni dopo e si sarebbe presentato alle elezioni sei anni dopo, nel 2001, e l’ex pm lo registrò regolarmente alla Camera tra i suoi introiti).

Il resto è noto e arcinoto: all’inizio l’Italia dei Valori era un piccolo movimento “personale”, tutto incentrato sulla figura del suo leader, che lo gestiva con un’associazione omonima insieme a persone di sua strettissima fiducia. In un secondo momento cambiò lo statuto per dargli una gestione più collegiale. Decine di giudici hanno già accertato che fu tutto regolare, fatta salva qualche caduta di stile familistica e qualche commistione fra l’entourage del leader e il movimento.

Di Pietro potrebbe anche fermarsi qui: se, in vent’anni di processi, spiate dei servizi segreti al soldo di chi sappiamo, campagne calunniose orchestrate da chi sappiamo che l’hanno vivisezionato e passato mille volte ai raggi X, riciccia fuori sempre la solita minestra, già giudicata infondata e diffamatoria da fior di sentenze, vuol dire che di errori ne ha commessi, ma tutti emendabili, perché il saldo finale rimane positivo.

Senza l’Idv non avremmo votato i referendum su nucleare e impunità; i girotondi e i movimenti di società civile non avrebbero avuto sponde nel Palazzo; in Parlamento sarebbe mancata qualunque opposizione all’indulto, agl’inciuci bicamerali e post-bicamerali, alle leggi vergogna di B. e anche a qualcuna di Monti;

e certe Procure, come quella di Palermo impegnata nel processo sulla trattativa, sarebbero rimaste sole, o ancor più sole. Senza contare che Di Pietro non ha mai lottizzato la Rai e le Authority.

É vero, ha selezionato molto male una parte della sua classe dirigente (l’abbiamo sempre denunciato). Ma quando è finito sotto inchiesta si è sempre dimesso e, quando nei guai giudiziari è finito qualcuno dei suoi, l’ha cacciato. Ora la sorte dell’Idv, fra l’estinzione e il rilancio, è soltanto nelle sue mani.

E non dipende dal numero di case di proprietà, ma da quel che farà di qui alle elezioni. Siccome è ormai scontato che si voterà col Porcellum, dunque ancora una volta i segretari di partito nomineranno i propri parlamentari, apra subito i gazebo per le primarie non sulla leadership, ma sui candidati.

E nomini un comitato di garanti con De Magistris, Li Gotti, Palomba, Pardi e altri esponenti dell’Idv o indipendenti al di sopra di ogni sospetto. Qualche errore sarà sempre possibile, ma almeno potrà dire di aver fatto tutto il possibile per sbarrare la strada a nuovi Scilipoti, Razzi e Maruccio.

Nel prossimo Parlamento, verosimilmente ingovernabile e dunque felicemente costretto all’inciucione sul Monti-bis, ci sarà un gran bisogno di oppositori seri, soprattutto sul tema della legalità. Se saranno soltanto i ragazzi di Grillo o anche gli uomini dell’Idv, dipende solo da lui.

Marco Travaglio (Il Fatto Quotidiano del 31 ottobre 2012)
  
 

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