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lunedì 10 dicembre 2012

MASSIMO D'ALEMA-CESARE GERONZI

Geronzi: D'Alema il mio sponsor

di Vittorio Malagutti
Né Andreotti né Berlusconi: è stato l'esponente del Pd il più fedele amico del controverso finanziere romano. Lo dice lo stesso ex presidente di Mediobanca nel libro-intervista 'Confiteor' di Massimo Mucchetti
(23 novembre 2012)
Lo sponsor politico più importante di Cesare Geronzi? Il leader di partito che non ha mai fatto mancare il suo appoggio alle iniziative del banchiere più influente e controverso della seconda Repubblica? Non è Giulio Andreotti, che pure fu decisivo per la nascita della Banca di Roma a guida geronziana. E neppure Silvio Berlusconi, da sempre indicato come il principale supporter del finanziere capitolino. No, l'amico vero, il politico negli anni fedele, si chiama Massimo D'Alema.

E' lo stesso Geronzi a ricostruire i suoi rapporti con l'ex presidente del Consiglio ed ex ministro degli esteri nel libro intervista di Massimo Mucchetti in vendita da mercoledì prossimo. "Confiteor", questo il titolo del lungo racconto del banchiere pubblicato da Feltrinelli. Un titolo che richiama la preghiera della confessione del rito cattolico.

Risposta dopo risposta il lettore viene accompagnato attraverso 25 anni di storia del nostro Paese. Dal crollo della prima Repubblica, che segue di poco l'ascesa di Geronzi al vertice della neonata Banca di Roma, frutto della fusione tra Cassa di Roma, Banco di Santo Spirito e Banco di Roma, fino al ribaltone della primavera 2011, con le dimissioni dell'ex banchiere dalla presidenza delle Assicurazioni Generali.

Frutto di oltre 100 ore di colloqui, suddivisi in 27 incontri tra giugno e settembre scorsi, il libro di Mucchetti (autore tra l'altro, del fortunato "Licenziare i padroni") non si esaurisce in una lunga sequenza di domande e risposte. Mucchetti, per quanto possibile, è andato a cercare i riscontri alle affermazioni di Geronzi, mettendole alla prova sulla base del proprio archivio e delle testimonianze di altri protagonisti.

E l' autore non ha neppure rinunciato ad applicare alla vicenda professionale del banchiere lo stesso metodo di valutazione in passato da lui già utilizzato con successo per i grandi capitalisti nostrani, dagli Agnelli a Marco Tronchetti Provera. Così, sorpresa delle sorprese, alla fine si scopre che Geronzi è riuscito a garantire un rendimento annuo del 18 per cento agli azionisti delle banche che ha guidato.

E' vero, il risultato è stato ottenuto tra il 1992 e il 2007, un quindicennio d'oro per la finanza seguito dal crac globale di cui ancora scontiamo le conseguenze.

A conti fatti, però, il banchiere politico per eccellenza secondo Mucchetti ha vinto la sfida sul mercato con altri colleghi celebri come Giovanni Bazoli di Intesa e Alessandro Profumo di Unicredit. Proprio quest'ultimo nel maggio 2007 si prese Capitalia sulla base di una valutazione di 21,8 miliardi per tutto l'istituto romano.

Cifre che adesso sembrano fuori della realtà. L'intera Unicredit arriva a stento ai 20 miliardi di capitalizzazione.

Nel libro il banchiere affronta il tema spinoso dei rapporti con Sergio Cragnotti e la sua Cirio e con la Parmalat di Calisto Tanzi. Legami pericolosi che gli sono finora costati condanne penali in primo grado a 4 anni (Cirio) e 5 anni (Ciappazzi-Parmalat).

Ma la parte forse più gustosa dell'intero libro promette di essere quella dedicata alla fase finale della carriera di Geronzi. Quella che lo ha portato prima al vertice di Mediobanca, sulla poltrona che fu di Enrico Cuccia, e poi al vertice delle Generali, le due poltrone più prestigiose della finanza nazionale.

E qui, grazie alle domande del suo intervistatore, Geronzi offre per la prima volta la sua versione sui fatti che lo hanno messo in rotta di collisione con l'amministratore delegato Alberto Nagel. A cominciare dal racconto della fatidica riunione del consiglio di amministrazione delle Generali, il 6 aprile dell'anno scorso, che si concluse con le dimissioni dell'ex banchiere.«Fu una congiura architettata da Nagel e da Lorenzo Pellicioli, il capo della De Agostini, di cui Diego Della Valle si fece strumento», questa la versione di Geronzi. Che liquida mister Tod's come un mandato che pensava di essere mandante.

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