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domenica 9 febbraio 2014

FRANCESCO ERSPAMER

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In sostanza, secondo la proposta di riforma elettorale di Renzi e Berlusconi, se un partito o un uomo della provvidenza piace a un terzo degli italiani (al 35%), ha il diritto di avere tutto il potere (il 53% dei seggi), alla faccia dei due terzi di italiani ai quali ovviamente non piaceva abbastanza. E leggitruffa2stiamo parlando dei votanti. Con una percentuale di votanti del 75% rispetto agli aventi diritto (dati delle ultime elezioni), l’effettivo indice di gradimento sufficiente per governare è del 26%. Uno su quattro. Che una simile soluzione autoritaria piaccia alla destra, si capisce. Che abbia l’appoggio della parte del Pd che deriva dal PDS, ossia da un partito che includeva la parola “sinistra” nel suo nome, è assurdo.
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Se nel 1953 la legge truffa di De Gasperi e Scelba avesse avuto effetto, non ci sarebbero state le riforme sociali e civili degli anni sessanta e settanta. Fu da quella sconfitta e dal successivo fallimento del centro-destra di Tambroni che nacque il centro-sinistra. Non era vero, come avevano proclamato i democristiani e i giornali della grande industria, che una riforma elettorale fosse necessaria per evitare l’ingovernabilità e l’anarchia. Restò il proporzionale puro e ciò nonostante gli anni che seguirono furono i più prosperi e vitali della storia italiana, con straordinari progressi. Inclusa, nel 1962, la nazionalizzazione dell’energia elettrica. Non per merito della DC, che avrebbe preferito, con la facile scorciatoia del premio di maggioranza, continuare a fare gli interessi di pochi gruppi economici, mica del paese in generale. Il merito fu della pressione esercitata dall’opposizione di sinistra, in parlamento e nelle piazze: una sinistra vera, che voleva tutto, senza riuscire a ottenerlo ma ottenendo abbastanza. Democrazia è gioco di governo e opposizione: se manca l’opposizione (che è cosa diversa da un partito con cui alternarsi al potere) non c’è democrazia.
Facile profezia. Se passa la legge truffa di Renzi e Berlusconi, non ci saranno riforme ma deregulation, non un miglioramento dei servizi sociali ma una loro eliminazione, certo non nazionalizzazioni bensì privatizzazioni (mi pare che fra i primi obiettivi ci sia proprio l’Enel), non una lotta all’evasione fiscale ma una sua legalizzazione (come in America, dove ricchi e benestanti pagano aliquote molto più basse della classe media). Le scorciatoie fanno risparmiare tempo ma solo se il luogo dove portano è quello a cui si intendeva arrivare.
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La democrazia bloccata della prima Repubblica era un problema. Ricordo gli anni in cui si diceva: non voglio morire democristiano. Ma per evitare di morire democristiani non si era disposti a sacrificare ideali e programmi. Nemmeno in cambio del potere. Così si ottennero straordinari risultati: le grandi riforme sociali, le nazionalizzazioni, lo statuto dei lavoratori, le conquiste civili. La democrazia bloccata non fu insomma una scusa né per rassegnarsi o adeguarsi né per smettere di lottare, sognare e fare programmi. A essere bloccato era il potere ma la democrazia vera, quella delle idee, era viva e vitale.
La crisi della democrazia di cui si parla oggi è altra cosa. È il pretesto di chi per sbloccare la democrazia è disposto a farne a meno. Non caschiamoci. Il governo non è così importante. La cosa importante sono i programmi. A voler sbloccare la democrazia suo malgrado, a pretendere e imporre una governabilità fine a sé stessa, senza contenuti, moriremo davvero democristiani.
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La legge truffa di Scelba, nel 1953, fu approvata dal parlamento ma fallì alla prova elettorale: la DC e gli altri partiti che l’avevano sostenuta persero più del 10% dei voti e la soglia del 50%, che avrebbe fatto scattare il premio di maggioranza, non fu raggiunta.
Mussolini, trent’anni prima, non aveva voluto correre rischi: la legge truffa di Acerbo fissava una soglia molto bassa, al 25%. Ma persino essa consentiva una via d’uscita, sia pure improbabile: nel caso in cui nessun partito avesse superato la quota stabilita, il premio di maggioranza non scattava.
La legge truffa di Renzi e Berlusconi è invece a prova di fallimento. Anche se alle urne gli italiani clamorosamente la bocciassero, rifiutandosi di dare a qualsiasi partito il 35% e magari neppure il 25%, il premio di maggioranza verrebbe concesso lo stesso, dopo un secondo turno in cui la scelta sarebbe, obbligatoriamente, fra i due partiti o partitini che avessero ottenuto più voti; e per di più aumentato di entità in modo da permettere al vincitore dello spareggio di raggiungere il fatidico, prefissato 53%. Non è assurdo ipotizzare un secondo turno in cui un 50% di votanti (l’assenteismo sarebbe alto) determinino quale, di due coalizioni ferme al 20% e dunque entrambe invise alla gran parte della popolazione, abbia diritto a una maggioranza assoluta. Esentando la politica dalla fatica di costruire consensi lavorando sul territorio e dal fastidio di sviluppare idee e programmi che facciano gli interessi della gente; invece di comprare pubblicità e giornalisti per far credere che il bene comune siano i privilegi di ricche corporation e fedeli clientele.
Questa non è democrazia. Chiunque abbia concepito questo imbroglio elettorale sta tentando un colpo di stato, e chiunque lo avalli, per convenienza, disperazione o pavidità, è suo complice.
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Ricorsi storici. Nel 1922, quando si accordarono, Mussolini aveva 39 anni e Giolitti un’ottantina. Il vecchio ex primo ministro sostenne il governo del giovane rampante. L’anno dopo fecero una riforma elettorale con premio di maggioranza. Per garantire la governabilità.

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